venerdì 30 gennaio 2015

Interlinea

Un noto adagio inizia con "Tra il dire e il fare..." e la conclusione che più amo per il suo spiazzante umorismo è quella fornita dal gruppo Elio e le Storie Tese che chiosano con l'inaspettato "... c'è di mezzo 'e il' ". Ma cosa c'è invece in mezzo tra il "dire" e il "capire"? Chi ha pensato nuovamente "...e il..." ha tutta la mia stima, ma la mia intenzione è invece riflettere veramente su questo.

Ogni giorno ci troviamo in situazioni nelle quali diciamo qualcosa o, ascoltando chi parla, capiamo, o cerchiamo di capire, il nostro interlocutore. Eppure spesso tra quello che viene detto e quello che viene capito c'è di mezzo un abisso. Forse chi parla non si spiega bene; forse chi ascolta si aspetta un certo tipo di pensiero o di risposta e quindi il suo ascoltare è in realtà tutto dedicato a cercare di capire tra le parole quello che si aspetta di sentire. Equivoco e malinteso sono quindi sempre lì dietro l'angolo, come improvvisi passanti non visti contro i quali andiamo a sbattere in malo modo.

La nostra lingua è molto ricca di parole per descrivere le "sfumature" a volte però mi accorgo che le mancano delle parole brevi e incisive, come in inglese ad esempio, dove con una sola parola si può esprimere un concetto complesso o dare una connotazione particolare a qualcosa che altrimenti in italiano saremmo costretti a descrivere con un giro di parole. Non sto elogiando l'abuso di inglesismi nella nostra lingua, sto solo dicendo che a volte sarebbe bello avere delle parole, sempre in italiano, ma semplici, dirette ed esemplificative come nel caso dell'inglese (e probabilmente di altre lingue). Aggiungiamo a questo la nostra connaturata estrosità, la passione per la chiccchiera, e quelli che potrebbero essere dei concetti molto semplici diventano dei veri e propri labirinti lessicali ricchi di parole, scarsi di sintassi e poveri di semantica: mai letto il testo di un regolamento amministrativo? Un testo di legge? Una circolare ministeriale? I discorsi di molti politici?

Di fronte a tali epiche imbottite di "fuffa" verbale, la cosa che si cerca naturalmente di fare è interpretare per capire... e cosa succede se a valle della prima lettura qualcuno scrive una seconda "opera" con l'intenzione di descrivere la propria interpretazione? Chi viene dopo cosa fa? ...e dopo ancora? Così la strada tra il "dire" e il "capire" diventa sempre più tortuosa e affollata di ostacoli verbali. Riconducendo tutto al nostro quotidiano abbiamo coloro che per dirci di essere appena usciti di casa ci raccontano tutto quello che è successo dalla sera prima, o chi si pone mille dubbi e problemi nel dire qualcosa di veramente semplice e diretto col timore di essere "interpretato" male...

- Ciao! {oddio spero di essermi spiegato bene, chissà che non si sia capito qualcosa di strano...}

Fino a qui tutto chiaro?
Eppure potremmo evitarci tante incomprensioni, cattive interpretazioni, inutili arrabbiature per nulla se chi parla dicesse le cose per come sono, direttamente, e chi ascolta si limitasse ad assaporarne il significato immediato: che il "dire" sia "dire" in modo che l'ascoltare non diventi altro.

Non cercare di leggere tra le righe di quello che dico
Non vedi che sto parlando con interlinea singola?

sabato 10 gennaio 2015

Differenze

Ho scritto un libro che si intitola "La vita scorre di lato", come questo blog. Faccio del pensiero laterale, quando possibile, uno dei miei strumenti principali di lavoro, vediamo se riesco a fare delle considerazioni trasversali ad un po' di tematiche di attualità.

Lo spunto viene dai recenti sanguinosi fatti avvenuti in Francia, tra i quali l'attacco alla sede della rivista satirica Charlie Hebdo, ma non per parlarne, solo per avere un punto di partenza per parlare di differenze. Quelle differenze che di volta in volta, di occasione in occasione vengono strumentalizzate per creare divisioni, maggiori divisioni. In questo brutto momento l'attenzione è strumentalizzata per accrescere la distanza dai musulmani: leggo di tutto in giro nei social network... o meglio, più che "di tutto" leggo di una sola cosa, condanna incondizionata verso la religione musulmana, non da tutti ovviamente, ma credo che ai soliti facinorosi in questi giorni si siano affiancati molti normalmente "silenti" che aspettano solo la buona occasione per uscire allo scoperto.
Ma questo è solo frutto del momento, perché se tra un po' viene fuori qualcosa di negativo che riguarda ebrei, omosessuali o altri, più o meno troverete in rete gli stessi di adesso a dire più o meno le stesse cose, cambia solo il soggetto. E quello che si legge non fa proprio onore a nessuno, soprattutto quando le condanne ai fatti passano attraverso la proposta/richiesta di pratiche forse ancora più barbare di quelle usate per perpetrare i fatti. Perché dobbiamo sminuire così secoli di supposta civiltà? Fatti criminali come quelli francesi e per estensione qualunque fatto criminale deve essere condannato certo, ma non brutalizzato in modo ancor più deteriore, e senza peccare di "estensione" perché poi il risultato è sempre lo stesso, scatta l'equazione "Uno = Tutti".

Poi c'è l'altra faccia della situazione.

Osservate bene le "file dei buoni", piene di lodevoli intenti certo, che per condannare le varie forme di (xeno, religio, omo, xxx)fobia più o meno citano quasi sempre frasi del tipo: "io ho un sacco di amici (o amiche) musulmani/ebrei/gay/lesbiche/ecc... e non ho mai avuto nessun problema, sono sempre andato d'accordo con tutti". Ecco, il modo "buono" per continuare a rimarcare le differenze. Riflettevo e mi riferivo al fatto di aver inserito in una frase come quella sopra una bellissima dichiarazione di appartenenza accompagnata subito dopo da un'altra dichiarazione che invece rimette in primo piano la diversità, la differenza: quello che viene dopo la definizione di "amico/a" è inutile e dannoso secondo me, non allo stesso modo di una dichiarazione di intolleranza, ma se a noi può sembrare una affermazione di "vicinanza a..." potrebbe essere vista anche come un'intenzione a mantenere distanze e differenze, purtroppo quelle differenze che poi pesano.

Ho letto qualche giorno fa una frase molto bella: "Un amico è la persona che conosce quasi tutto di te e continua a volerti bene". Quando dici "amico" il resto è superfluo, non ha importanza che amico c'è al tuo fianco. Il rapporto amicale è una "forma di Amore" (cit.), punto. Qualificare ulteriormente un amico anche come gay, lesbica, musulmano, ebreo, ateo, giornalista, impiegato, netturbino, veterinario, non serve e non aggiunge nulla alla dichiarazione iniziale.

Prendo in prestito una frase citata questa sera da un giornalista in televisione, che a sua volta l'ha ricevuta attraverso una email da una studentessa.

"...non facciamoci peggiorare".