domenica 6 giugno 2010

Parole

Non sono molto abituato ad essere un animale sociale e molto spesso mi trovo in difficoltà nei discorsi diretti. O per lo meno fino ad ora mi sono trovato in difficoltà, soprattutto quando si parla di sentimenti. Finora ho trovato interlocutori troppo "aggressivi", magari senza colpa, ma ho fatto troppe esperienze nelle quali la mia interlocutrice si poneva nel discorso con dei modi che alla fine mi facevano sentire quasi "inutile" per quello che dicevo o per le idee che esprimevo.

Mi piace scrivere, quello sì, perché ho più tempo per pensare a quello che devo dire. Mi piacciono le parole, l'italiano è così ricco di termini, che a volte possono essere anche fraintesi e su questi ci si può giocare. Si vuole dire qualcosa e le parole usate possono essere interpretate in tutt'altro modo. L'arte del doppio senso, del calembour linguistico, che suscita ilarità e perplessità. Non in certi momenti però, divertirsi ok, ma solo quando si può.

Parole. Nero su bianco per descrivere pensieri dalle mille sfumature. Parole recitate, proclamate, lette, sussurrate, rigate da mille lacrime che non riescono a scolorirle, perché dalla loro pur labile inconsistenza sono nati pensieri che hanno la solidità del granito, che hanno animato le azioni di generazioni. Sono nati poemi che hanno stregato cuori, canzoni che hanno fatto cantare tutti e che probabilmente rimarranno patrimonio eterno per chiunque.

Alcuni segni vergati su un foglio, una poesia che scrive le emozioni direttamente nell'anima di chi la legge. E' questa la potenza segreta delle parole. Le parole creano. Tutto il creato è nato da parole. Nel nostro piccolo siamo tutti artisti quando le nostre parole creano pensieri, concetti, convinzioni. E chi non si accontenta delle parole va oltre e, giocandoci un po' sopra, inventa nuovi modi di esprimersi che travalicano la semantica stessa. E' il caso dei giullari di un tempo, degli attori girovaghi che usavano la tecnica del "grammelot" per inventare linguaggi improbabili dove le parole non avevano diretto significato, ma attraverso suoni onomatopeici, parole prese da varie lingue, mimica e gesti, riuscivano comunque a trasmettere il loro messaggio, oltrepassando a volte i limiti linguistici. Cito Charlie Chaplin che nel "Grande Dittatore" ha fatto fare al personaggio di Adenoid Hynkel un favoloso discorso in "finto tedesco". Il nostro Dario Fo che del "grammelot" fa mirabile uso nell'opera "Mistero Buffo". Fosco Maraini che con il suo libro "La Gnosi delle fanfole" ci dà un saggio di poesia metasemantica.

C'è questo desiderio profondo di creare parole, scritte o meno poco importa, un continuo rincorrersi di pensieri piccoli e grandi che dicono cose piccole e grandi su di noi, sempre. Parole taglienti, pericolose, dolci, amare, tutte per comunicarci verso l'ignoto della comprensione altrui. Per trovare altre parole che le completino, eterei amanti che solo uniti diventano forza l'uno dell'altro.

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