mercoledì 23 giugno 2010

Un bisogno in fondo al cuore


Abbiamo tutti bisogno di un po' di Amore in fondo al cuore, ma non tutti lo sappiamo.

Cerchiamo in continuazione piccole e grandi conferme e a volte le abbiamo lì a portata di mano ma non le vediamo. Alla fine ritorno sempre lì, da un po' di tempo a questa parte, vedere, che è solo il primo passo e molte volte puramente involontario.

Vedere.
Guardare.
Osservare.

Più o meno dicono la stessa cosa, ma c'è differenza, una grande differenza, non tanto nell'oggetto della nostra più o meno volontaria attenzione, ma nel soggetto: noi.
Per vedere non facciamo fatica, basta girare la testa o spostare lo sguardo, volenti o nolenti vediamo un sacco di cose.
Guardare è già diverso, c'è la volontà di farlo, di fissare lo sguardo da qualche parte.
Osservare va più nel profondo, perché aggiunge alla volontà del guardare il desiderio di capire cosa si sta guardando.

Oggi pomeriggio sono uscito, avevo bisogno di spazio e mentre ero fuori mi chiama una persona pensando che fossi a casa.
"Ah, sei fuori... ma ti devi trovare con qualcuno?", mi chiede.
"Assolutamente no", rispondo, "a momenti faccio fatica a trovare anche me stesso..."

Devo fare pratica, non voglio più solo vedermi, devo riuscire ad osservarmi, da vicino, dal di dentro; unire il guardare e il capire, che se non ti capisci come fai a capire gli altri, quello che ti circonda. Stanno cambiando tante cose nella mia vita, i ragazzi crescono, eventi grandi e piccoli portano in continuazione cose nuove da capire e io mi ci trovo in mezzo e più di qualche volta mi sono domandato che cavolo ci faccio qui, in questo momento. Luoghi e momenti. E ci deve essere un senso a questo: ecco io questo senso non voglio vederlo, voglio osservarlo.

Ho anche dei nuovi amici, persone che a loro modo sono speciali, com'è giusto che sia, perché sono entrate nella mia vita in un momento e per un motivo molto particolare. E' con loro che ho cominciato a cambiare il mio modo di osservare le cose, che ho cambiato il mio modo di raccontarle, da quando sono arrivati mi hanno dato nuova luce agli occhi e ai pensieri. Sì, mi hanno fatto scoprire cose nuove di me, com'è accaduto in passato con altre persone, in altri luoghi, in altri contesti. Adesso però ci sono loro e forse è la prima volta che mi auguro che ci siano sempre e non solo per un breve tragitto: ci stiamo insegnando un sacco di cose, con lo sguardo attento e il cuore libero, senza pregiudizi di nessun tipo.

C'è chi si ferma al vedere e vede solo invidia...
C'è chi prova a guardare... ma non capisce... e resta con il dubbio...
Solo chi osserva fa l'esperienza più profonda e coinvolgente...

Abbiamo tutti bisogno un po' d'Amore in fondo al cuore... e c'è un solo modo per trovarlo...

venerdì 18 giugno 2010

Riflessi


Camilla ha fatto delle bellissime foto, soprattutto quelle che hanno come soggetto i riflessi. Foto del nostro mondo, di quello che ci circonda, ma visto attraverso il riflesso nell'acqua. Vediamo le stesse cose ma da una prospettiva e con colori diversi e se poi l'acqua è un po' mossa tutto cambia, muta indistintamente costringendoci a cercare nel ricordo quello che al momento è sottratto alla nostra vista o a domandarci quale sia la visione giusta delle cose, se quella piatta e lineare o quella in movimento.

Siamo così abituati a vedere le cose direttamente che qualunque visione alternativa di solito viene bollata come irreale, non vera. Diffidenza. Televisione e giornali ci parlano di riflessi, anche i libri volendo, perché comunque quello che ci raccontano è mediato attraverso altri occhi, altre sensazioni. Eppure questo non ci impedisce di accettare delle visioni riflesse come reali, di fare nostri altri occhi e altri sentimenti, quelli della persona amata o di qualche importante e profonda amicizia. Per quale motivo allora non diffidiamo di questo? Cosa ci porta ad accogliere come nostri i modi di vedere  di qualcun altro?

Credo che la risposta sia da ricercare nella nostro essere incompleti, nella nostra ricerca costante di un qualche consenso che dia senso al nostro essere, al nostro esistere. Non parlo di consensi nelle idee ma di qualcosa che arrivi a farci capire il senso profondo di "io esisto" in quanto riconosciuto come altro e unico. I riflessi non sono più quindi delle semplici immagini di ritorno ma specchi esistenziali che ritornano sì l'immagine di noi ma attraverso la visione di un altro. Gli occhi specchio dell'anima, si dice di solito: mi piace pensarli più come finestra sull'anima: se fossero specchi da qualche parte dovrebbero riflettere e dal di fuori vedrei me stesso negli occhi di un altro, mentre dal di dentro l'anima si rifletterebbe su se stessa. Pensieri come riflesso dell'esistenza, della mia esistenza in base all'assioma cartesiano del "cogito ergo sum", ma anche riflesso dell'esistenza dell'altro nel momento in cui lo riconosco come altro da me e soprattutto unico.

E quando incontri un altro sguardo, un altro pensiero che ti fanno vibrare dentro, quello è il momento nel quale il riflesso inizia a farsi più chiaro, dove cominci a sentire legame, appartenenza: la mancanza diventa sensazione di vuoto di non completezza, la presenza diventa invece pienezza, scombussolando di gioia tutto il tuo essere quando questa presenza magari si manifesta improvvisa, inaspettata.

Ecco perché le foto di Camilla sui riflessi mi hanno colpito, perché in fondo siamo e sono alla ricerca di riflessi, di ritorni di immagini che ci diano altre prospettive di noi e di quanto ci circonda, modi di vedere che completino il nostro. Siamo unici ma ci cerchiamo l'un l'altro. Oggi, domani e sempre, per sempre.

venerdì 11 giugno 2010

Da Lontano

Sono partito da lontano
da dove non vedevo nulla
per arrivare più vicino
e accorgermi che ancora non era abbastanza
e più, e più mi avvicino
più sento lontananza.

Perché ho solo questi due occhi
e chi mi potrebbe essere d'aiuto
non sa ancora distinguere
se è più vero ciò che vedo
di quello che dovrei, in fondo all'anima,
trovare e che mai chiedo.

Ma la voglia di essere più vero
non mi abbandona ancora
e mi sorrido dentro,
là dove ancora mi nascondo
e vado a cercarmi, né lontano, né vicino,
ma ogni volta un po' più a fondo.

domenica 6 giugno 2010

Parole

Non sono molto abituato ad essere un animale sociale e molto spesso mi trovo in difficoltà nei discorsi diretti. O per lo meno fino ad ora mi sono trovato in difficoltà, soprattutto quando si parla di sentimenti. Finora ho trovato interlocutori troppo "aggressivi", magari senza colpa, ma ho fatto troppe esperienze nelle quali la mia interlocutrice si poneva nel discorso con dei modi che alla fine mi facevano sentire quasi "inutile" per quello che dicevo o per le idee che esprimevo.

Mi piace scrivere, quello sì, perché ho più tempo per pensare a quello che devo dire. Mi piacciono le parole, l'italiano è così ricco di termini, che a volte possono essere anche fraintesi e su questi ci si può giocare. Si vuole dire qualcosa e le parole usate possono essere interpretate in tutt'altro modo. L'arte del doppio senso, del calembour linguistico, che suscita ilarità e perplessità. Non in certi momenti però, divertirsi ok, ma solo quando si può.

Parole. Nero su bianco per descrivere pensieri dalle mille sfumature. Parole recitate, proclamate, lette, sussurrate, rigate da mille lacrime che non riescono a scolorirle, perché dalla loro pur labile inconsistenza sono nati pensieri che hanno la solidità del granito, che hanno animato le azioni di generazioni. Sono nati poemi che hanno stregato cuori, canzoni che hanno fatto cantare tutti e che probabilmente rimarranno patrimonio eterno per chiunque.

Alcuni segni vergati su un foglio, una poesia che scrive le emozioni direttamente nell'anima di chi la legge. E' questa la potenza segreta delle parole. Le parole creano. Tutto il creato è nato da parole. Nel nostro piccolo siamo tutti artisti quando le nostre parole creano pensieri, concetti, convinzioni. E chi non si accontenta delle parole va oltre e, giocandoci un po' sopra, inventa nuovi modi di esprimersi che travalicano la semantica stessa. E' il caso dei giullari di un tempo, degli attori girovaghi che usavano la tecnica del "grammelot" per inventare linguaggi improbabili dove le parole non avevano diretto significato, ma attraverso suoni onomatopeici, parole prese da varie lingue, mimica e gesti, riuscivano comunque a trasmettere il loro messaggio, oltrepassando a volte i limiti linguistici. Cito Charlie Chaplin che nel "Grande Dittatore" ha fatto fare al personaggio di Adenoid Hynkel un favoloso discorso in "finto tedesco". Il nostro Dario Fo che del "grammelot" fa mirabile uso nell'opera "Mistero Buffo". Fosco Maraini che con il suo libro "La Gnosi delle fanfole" ci dà un saggio di poesia metasemantica.

C'è questo desiderio profondo di creare parole, scritte o meno poco importa, un continuo rincorrersi di pensieri piccoli e grandi che dicono cose piccole e grandi su di noi, sempre. Parole taglienti, pericolose, dolci, amare, tutte per comunicarci verso l'ignoto della comprensione altrui. Per trovare altre parole che le completino, eterei amanti che solo uniti diventano forza l'uno dell'altro.

giovedì 3 giugno 2010

Nuvole

In questi giorni sto fotografando le nuvole. Quasi mi scoccia vedere il cielo azzurro limpido e terso. Non so, mi ha preso questa cosa, forse perchè anche loro sono in continuo mutamento e in ogni momento sono diverse da com'erano un istante prima. Vorrei fissare tutte le loro forme, così uniche e irripetibili. L'altro giorno stavo arrivando a casa e guardando verso il cielo noto un possibile buon soggetto. Non ero in posizione ottimale, troppi palazzi e lampioni. Ok, tempo di salire a casa e dalla terrazza al quarto piano prendo tutto senza impedimenti. Quattro piani e non c'era più nulla, solo cielo terso e limpido.
Quanto è giusta e quando è giusta la filosofia del "cogli l'attimo"? Prendiamo subito quello c'è o magari se aspettiamo c'è qualcosa di meglio? L'indecisione ci tenta.

Oggi osservavo una persona, stavamo bevendo il caffè, chiacchierando di ricordi di scuola e vedevo i cambiamenti di espressione man mano che ricordava alcuni episodi del passato. Attimi di mutamento delle espressioni che andrebbero fissati tutti, perché in ognuna di quelle espressioni c'era una parte della storia che mi stava raccontando, che non può essere completa se una parte viene dimenticata.

Che forma hanno una storia, un racconto, un ricordo? Tante forme e nessuna in particolare. Sono l'insieme di quello che abbiamo sentito, osservato, capito, fatto nostro, sapendo che corriamo continuamente il rischio di lasciarci sfuggire qualcosa e non sapremo mai se quello che ci siamo persi era importante oppure no. D'altra parte non possiamo nemmeno pensare di poter cogliere tutto, saremmo troppo attenti ai particolari e allo stesso tempo troppo distratti dal senso, dal significato di quello che ci viene detto. Il compromesso sta nel sentimento e nelle emozioni che fanno da collante a questa sequenza di fotogrammi che colgono una parte della storia, che ne riempiono gli spazi vuoti dove i nostri sensi non sono arrivati: dove non arrivano la ragione e la razionalità arriva il cuore, che ci permette di capire quello che non viene detto o in qualche modo mostrato, che ci fa sentire più nostre le lacrime che altrimenti rimarrebbero solo delle scie umide sulle guance di un'altra persona, o la gioia profonda di un sorriso che non è solo esercizio dei muscoli del volto.

Così sono le nuvole. Ne osserviamo le forme in vari momenti, non in tutti. Lasciamo loro un po' del mistero di quello che sono state nel frattempo, nell'attesa di scoprirlo magari più in là. Altri attimi dove avremo l'occasione di fare nostra ancora un po' della loro bellezza.